Buone notizie sul fronte ecocompatibilità (forse)

Lo sapevate che i maiali svizzeri mangiano la foresta tropicale?
Ovviamente in via indiretta, in quanto i maiali la mangiano sotto forma di granaglie di soia contenute nel loro mangime.
Senza semi di soia, in questo paese non ci sarebbe carne né di maiale né di pollame.
La soia necessaria per la produzione della carne proviene soprattutto dal Sudamerica, dove a tale scopo la foresta tropicale viene disboscata e la savana ridotta in cenere.
L’aumento del consumo di carne a livello mondiale ha causato una brusca impennata della coltivazione della soia, tanto che negli ultimi 10 anni essa è addirittura triplicata, con la conseguente scomparsa di aree forestali sempre più ampie.
La soia geneticamente modificata, la cui crescita richiede un intenso impiego di diserbanti e fertilizzanti, non ha problemi a svilupparsi nel clima caldo umido dell’Amazzonia.
Ma per rifornire i campi di macchinari, sementi e prodotti agrochimici ci vogliono le strade, e quindi la foresta pluviale deve cedere il suo spazio.
Allo scopo di controllare la produzione della soia in senso ecocompatibile, in associazione con dei gruppi internazionali il WWF ha costituito una tavola rotonda (Round Table on Responsible Soy). Circa 200 partecipanti hanno deciso di iniziare a formulare dei criteri universalmente applicabili per una coltivazione responsabile della soia sul piano sia ambientale che sociale, prendendo come spunto i Criteri di Basilea elaborati congiuntamente dal WWF e da Coop.
Nei prossimi anni si dovrà quindi sviluppare uno standard definitivo, con il coinvolgimento di tutti i rappresentanti dei vari interessi, finalizzato a ridurre drasticamente la trasformazione della foresta pluviale in un’immensa piantagione di soia.

Un problema analogo si verifica in Colombia ed Ecuador, dove la produzione di olio di palma è in rapida espansione provocando la distruzione della foresta e conflitti con la popolazione indigena. Per far posto alle piantagioni è necessario deforestare.
L’olio di palma è impiegato in una grande varietà di prodotti di consumo quotidiano: ad esempio in margarina, dolciumi, detersivi e cosmetici.
In Brasile la superficie destinata alla coltivazione della palma da olio è per il momento ancora modesta, ma la prevedibile domanda globale di biodiesel sta già gettando la sua ombra e forse potrà comportare una drammatica espansione delle aree coltivabili.
Anche in questo caso il WWF si sta impegnando con una tavola rotonda (Roundtable for Sustainable Palmoil) per la protezione del patrimonio forestale.

Stiamo assistendo a un vero e proprio boom degli agrocarburanti, considerati come possibile fattore di riduzione delle emissioni di CO2 o come alternativa alle limitate risorse di petrolio.
Il Brasile è il maggior produttore mondiale di bioetanolo, estratto dalla canna da zucchero, con 13 milioni di tonnellate prodotte nel 2005 contro i soli 3,9 milioni di tonnellate di alcol industriale dell’intera UE.
Il governo brasiliano retto dal Presidente Lula vorrebbe assumere un ruolo di leader nella rivoluzione degli agrocarburanti e aumentare le proprie esportazioni.
Ma senza rigorosi criteri produttivi vi è il fondato rischio che per far posto alla dirompente produzione di canna da zucchero diventerà sempre più consistente la parte di foresta amazzonica convertita in terreno arativo.

In Amazzonia, alcune qualità pregiate di legno vengono estratte in tali proporzioni da essere ormai a rischio e in certe zone addirittura scomparse. Alcune di queste qualità di legno, come il mogano, erano già state incluse nella Convenzione di Washington CITES per la protezione delle specie allo scopo di proteggerle dalla totale estirpazione.
Dato il loro elevato valore commerciale, la maggior parte dei legni sono destinati all’esportazione, soprattutto verso gli USA e l’Europa.
L’estrazione di questi legni comporta il disboscamento, spesso illegale, di ampie aree di foresta pluviale.
Un dato agghiacciante: per ogni albero abbattuto vengono danneggiati altri 27 alberi, costruiti 40 metri di strada e creata una breccia di 600 m2 nel tetto della foresta.
Chi vuole essere certo che il legno non provenga dallo sfruttamento selvaggio o dal commercio illegale acquista prodotti muniti della label del Forest Stewardship Council (FSC).
Questa è attualmente l’unica certificazione che garantisce la provenienza di prodotti lignei e cartacei da aree gestite secondo principi di sostenibilità ambientale e sociale, e quindi che nessuna foresta pluviale ne viene danneggiata.

fonte

  • wwf.it
  • fsc-italia.it

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Carmela Kia Giambrone

Giornalista, consulente alla sostenibilità e alla comunicazione digitale

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