L’insostenibile pesantezza del water grabbing

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Sempre più spesso, si sente parlare di corsa alle terre rare come il coltan o il silicio, nuove/vecchie abitudini che affondano le radici in epoche lontane, colonialiste, ma che si ripropongono irrimediabilmente in chiave moderna sempre efficace.

Quasi mai si parla però di water grabbing.

Per spiegare che cos’è il water grabbing, potremmo fare un grande cappello iniziale, spiegare il valore dell’acqua per l’uomo, oltre che per la sua stessa esistenza, anche per le sue attività produttive ed economiche. Ancora, potremmo soffermarci su quanto questo valore sia mano a mano cresciuto con il diminuire della disponibilità dell’acqua nel mondo, superando ormai i ben meno preziosi diamanti o ancora, parlando dell’importanza di calcolare la nostra impronta idrica e di come risparmiare l’acqua nella nostra vita quotidiana.

Per essere diretti però, ci basterà dire che il water grabbing non è altro che un sistema di pratiche ben collaudate che servono per accaparrarsi le risorse idriche senza apparentemente farlo, in modo subdolo e a discapito dei più poveri.

Dove avviene? principalmente nelle aree più povere del mondo e a fronte di guadagni minuscoli e immediati per le popolazioni locali, viceversa enormi per multinazionali e Stati che lo praticano grazie ad azioni progettate e ben più lungimiranti.

Una corsa che qualcuno non ha fatto fatica a definire all’oro blu, che striscia rapidamente e silenziosamente, senza mostrarsi al mondo così, solo quando sarà troppo tardi e l’acqua diverrà ancor più rara di oggi, tutto sarà compiuto e a nulla serviranno lacrime di coccodrillo di commissioni internazionali ben poco attente e puntuali in tempi utili.

Come nasce il water grabbing

L’agricoltura rappresenta il settore con il 90% del consumo idrico mondiale quindi, trovare il modo di armonizzare la domanda di acqua in un mondo con risorse idriche limitate come quello di oggi, è una vera e propria sfida per lo sviluppo sostenibile mondiale.

In tutta risposta, grossi investitori internazionali, hanno direzionato la loro attenzione verso il controllo delle risorse idriche per l’agricoltura, in particolare attraverso acquisizioni di terreni su larga scala.

Lo studio di Chiarelli, D’Odorico, Müller “Competition for water induced by transnational land acquisitions for agriculture” pubblicato su Nature a fine gennaio 2022 ha indagato l’incremento dei raccolti, attraverso l’aumento dell’irrigazione, che interessava quei terreni passati da agricoltura locale ad agricoltura intensiva, spinta da attori internazionali quali Stati e multinazionali estere.

Non vi era certezza se questi protagonisti stranieri ricercassero aree ricche d’acqua, facendo di fatto concorrenza al fabbisogno di acqua locale quindi il team di ricercatori, ha valutato la scarsità d’acqua associata a quest’attività, utilizzando ogni informazioni possibile e ogni software computazionale disponibile.

Che cosa hanno scoperto?

Questa vera e propria rivalità per l’acqua è stata riscontrata in 105 su 160 terreni studiati dal team scientifico, ovvero nel 67% dei terreni acquisiti da investitori internazionali. È stato pertanto chiaro che le attività di questi Stati e multinazionali non potevano che essere vera espressione di water grabbing.

Acqua: limitata e preziosa più dei diamanti

In molte aree del mondo, i diritti sull’acqua sono connessi alla terra sulla e nella quale l’acqua scorre. Quest’acqua quindi viene effettivamente acquistata attraverso l’acquisto stesso del terreno.

È un sistema semplice che però si basa su una serie di condizioni estremamente complesse e al contempo delicate con ripercussioni sulla popolazione locale enormi.

L’acqua è infatti una risorsa limitata ma anche difficilmente trasportabile quindi il water grabbing si manifesta attraverso la coltivazione di terreni interessati da alta piovosità o dal passaggio di fiumi o ancora dalla presenza di laghi o falde.

Questi investimenti esteri, dal 2005 a oggi, si sono diffusi molto rapidamente nei Paesi più poveri per oltre 50 milioni di ettari acquistati in ​​più di 100 Paesi nel mondo. Queste azioni sono state sponsorizzate localmente come utili al sostentamento e allo sviluppo delle piccole comunità, o come aumento di capitale finanziario con creazione di posti di lavoro, trasferimenti di tecnologia e aumento della produttività; di contro però, nessuno ha mai accennato alla riduzione dell’accesso all’acqua per gli agricoltori locali sia nel presente che nel futuro.

Quantificando l’uso di acqua nei terreni degli investitori infatti, è stato rivelato che si tratta di un quantitativo enorme, utile a sostenere la produzione di colture da reddito destinate però all’esportazione.

Naturalmente tutto questo rappresenta un enorme problema tanto per la sicurezza alimentare quanto per la stessa sussistenza locale, soprattutto se le terre acquistate vengono scelte in modo oculato sulla base della ricchezza idrologica intrinseca.

Oggi a che punto siamo con il water grabbing?

photo credits emi.it

Soprattutto nel Sud del mondo, dovrebbe essere valutata attentamente:

  • l’introduzione di nuove infrastrutture per l’irrigazione;
  • la messa in campo di un sistema di quantificazione dell’acqua;
  • un sistema di limitazione delle estrazioni idriche.

Ad oggi però il problema più grande è proprio la comprensione della reale dimensione del water grabbing che non ha ancora un’attenzione politica reale nel mondo. Fino a oggi sono stati fatti solo lievi tentativi per regolamentare gli investimenti e il water grabbing sta contribuendo a implementare le azioni di cancellazione dei principi di giustizia dell’acqua.

Se vuoi approfondire ti consiglio il libro “Water grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo” di Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli – EMI edizioni

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Fonti:

Carmela Kia Giambrone

Giornalista, consulente alla sostenibilità e alla comunicazione digitale

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