Scopri la tua impronta idrica con water to food

play with data

photo credits watertofood.org/play-with-data

L’impronta di carbonio o carbon footprint, è ormai ben conosciuta da tutti noi, tanto che come è noto, la nostra spesa è ormai cambiata anche in funzione della sostenibilità ambientale. Possiamo dire lo stesso dell’impronta idrica, ovvero del consumo di acqua, vero oro blu dei giorni nostri, nascosto all’interno della produzione degli alimenti che decidiamo di mettere in tavola (e prima ancora, nei nostri carrelli)? Siamo davvero certi di conoscere il #consumo di acqua nascosto lungo l’intera filiera? scopriamolo insieme al progetto water to food del Politecnico di Torino.

Quanta acqua serve (per davvero) per la nostra alimentazione?

La vera domanda, infatti, che dovremmo porci è: “Quanta acqua serve per davvero per produrre…. ?” e al posto dei tre puntini, aggiungere il nostro alimento. Se una grande giornalista come Sabrina Giannini ci ha nel tempo abituati a porci infinite domande, oggi molti strumenti e progetti, possono supportare questa grande curiosità.

Di spesa consapevole ne avevamo già parlato, grazie ad un’app ora non più in versione beta, ovvero APP KitchenFootprint, oggi grazie a Watertofood.org, in particolare grazie all’area dedicata al “Play with data”, con un semplice click, possiamo scoprire quanta acqua ha consumato un piatto di pasta o una mela, prima di arrivare sulla nostra tavola.

Dal lockdown nascono i fior

Il progetto “Water To Food” è del Politecnico di Torino ed è nato durante il lockdown da un’idea delle tre giovani ricercatrici Benedetta FalsettiCarla Sciarra e Marta Tuninetti e coordinato da Francesco Laio, docente presso il Dipartimento di Ingegneria per l’ambiente, il territorio e le infrastrutture del Politecnico e si è ispirato al progetto di ricerca europeo Coping with WAter Scarcity In a globalized world, CWASI.

Di fatto Water to Food ha visto un team di esperti in comunicazione digitale e di dati analizzare l’impatto che la produzione ed il commercio di alimenti su scala globale hanno sulle risorse idriche del Pianeta.

Come funziona Water to Food

Il progetto si pone come obiettivo quello di mettere a disposizione di chiunque desideri informarsi, i dati riguardanti l’acqua virtuale contenuta nel cibo che si consuma, ovvero l’acqua che, prelevata da una nazione per coltivare e lavorare un determinato bene, si sposta con esso dal posto di produzione al posto di consumo e così basta collegarsi al sito watertofood.org e accedere alla sezione Play with data per controllare il “water footprint” ovvero l’impronta idrica del cibo che vogliamo conoscere meglio.

In qusto modo chiunque lo vorrà potrà analizzare le differenze tra i posti diversi di produzione e quindi scegliere consapevolmente.

“…e così si può scoprire che per produrre un chilo di caffè etiope servono più di undicimila litri di acqua e che l’Italia importa dall’Etiopia circa 95 milioni di metri cubi di acqua proprio sotto forma di chicchi da tostare. E ancora per la pasta: tra i vari stati da cui proviene il grano, l’Italia importa da Russia, Australia, Stati Uniti e Canada, stato da cui importa più di un miliardo di metri cubi di acqua virtuale. Considerando che il Lago di Garda ha un volume di circa 50 chilometri cubi, si stima che il volume totale di acqua virtuale che l’Italia importa sotto forma di cibo nel corso di un anno sia circa 1750 chilometri cubi (secondo una stima fatta per l’anno 2016), volume che corrisponde a circa 35 volte il volume, appunto, del lago di Garda…”

Insomma, non c’è davvero più alcuna scusa per dire “non ho tempo per approfondire…”

A presto,

Info utili

www.watertofood.org 

https://cordis.europa.eu/

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Carmela Kia Giambrone

Giornalista, consulente alla sostenibilità e alla comunicazione digitale

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